Che cos’è l’epilessia?
L’epilessia è una malattia, o meglio ancora una sindrome patologica, costituita dal ricorrere di crisi epilettiche. Devono essersi verificate almeno due crisi per porre diagnosi di epilessia. Per molti secoli le crisi epilettiche sono state considerate inspiegabili con le leggi della medicina, e associate a interventi magici o demoniaci. Anche per questo sono state ritenute un evento da nascondere.
Si dice soffrissero di questa patologia grandi personaggi, come Alessandro Magno, Giulio Cesare, Giovanna D’Arco e Napoleone; certamente ne soffrivano Dostoevskij, Flaubert, Paganini, e van Gogh, una prova che l’epilessia non lede le capacità intellettive, né il rendimento nella vita pratica (e non ha alcun bisogno di essere nascosta). Nelle forme abituali l’epilessia non porta alcuna menomazione nell’ambito della vita quotidiana e del successo professionale.
La crisi epilettica è provocata da una iperattività delle cellule nervose cerebrali (i cosiddetti “neuroni”). Si verifica infatti, paradossalmente, una eccessiva attività funzionale del sistema nervoso: alcuni neuroni della corteccia cerebrale incominciano ad attivarsi a un ritmo molto superiore al normale, producendo una scarica di potenziali neuronali che si propaga nei circuiti nervosi e si manifesta nell’elettroencefalogramma (EEG) con potenziali di aspetto puntuto (punte rapide e lente, complessi punta-onda) e clinicamente con modificazioni motorie (scosse miocloniche, ipertono, convulsioni), sensazioni peculiari (folate di odori, peso allo stomaco, macchie luminose), ricomparsa di ricordi sopiti e in non pochi casi sospensione della coscienza e caduta. Le crisi epilettiche si riconoscono dal resoconto e con l’osservazione del paziente.
Esistono due tipi principali di epilessia, le epilessie idiopatiche e le epilessie sintomatiche.
Nelle epilessie idiopatiche la tendenza a presentare le crisi è costituzionale; questi pazienti non presentano alcuna lesione cerebrale e sono dal punto di vista neurologico del tutto normali, a parte questa singolare caratteristica. Il tipo di crisi varia con l’età e si può assistere alla successione di crisi di differente aspetto.
Nelle epilessie sintomatiche, che comprendono la maggior parte dei pazienti, l’epilessia si sviluppa in seguito a una lesione cerebrale. Si va da disturbi dell’ossigenazione cerebrale al momento della nascita (evento molto frequente), a malformazioni della corteccia cerebrale fino a tutte le patologie acquisite del cervello, come infezioni, traumi, tumori, disturbi circolatori. Ogni evento morboso che lede la corteccia cerebrale può infatti dare origine, nel corso degli anni, a un focolaio responsabile dell’epilessia. Questi pazienti presentano talora altri segni neurologici quali disturbi motori, ritardi di sviluppo, deficit attentivi.
In un buon numero di casi non si riesce a trovare la causa, e l’epilessia viene definita criptogenica.
Quale frequenza ha l’epilessia?
Colpisce fra lo 0,6 e l’1% della popolazione. Si stima che in Italia fra 350.000 e 500.000 persone siano affette da questa malattia.
Come si manifestano le crisi?
Esse si rivelano con un breve e improvviso disturbo delle funzioni nervose. Hanno in genere durata breve (meno di un minuto) e si possono manifestare con sintomi diversi da caso a caso, a seconda della funzione dei neuroni cerebrali coinvolti. Le crisi possono essere rare e comparire a distanza di anni, ma nella maggior parte dei casi si ripetono frequentemente, anche più volte nella giornata. Fra una crisi e l’altra non è di solito presente solitamente alcun disturbo.
La manifestazione clinicamente più importante, anche se complessivamente rara, è la sospensione improvvisa e non preavvertita della coscienza con caduta a terra e comparsa di movimenti di tipo convulsivo (tremori e scosse muscolari). Più spesso la perdita di coscienza e preceduta da sensazioni che preannunciano il disturbo (la cosiddetta “aura” epilettica). In altri casi la perdita di coscienza consiste solo in un breve stato di confusione e di perdita del contatto con l’ambiente circostante, e si accompagna ad azioni compiute in modo automatico (masticare, inghiottire, parlare, toccare o spostare gli oggetti), oppure a un arresto della attività motoria. In questi casi di solito il paziente non ricorda quanto avviene nel corso della crisi, e talora non si accorge neppure che la crisi è avvenuta, evento che crea difficoltà nella raccolta della storia clinica.
A volte la coscienza è conservata e il malato può presentare solo un brusco movimento o un cambiamento della posizione di un arto, o avvertire sensazioni peculiari quali una pressione allo stomaco che sale verso la gola, lampi di luce, rumori, formicolii ad una parte del corpo, gusti o odori strani, improvvisi stati d’animo di angoscia o euforia, l’impressione di vivere in sogno, fugaci ricordi del passato, ecc. In questi casi il paziente ricorda gli eventi e sa riferire con esattezza quanto gli accade.
Qual è il carattere comune delle crisi?
La loro imprevedibilità, l’impossibilità di controllare in quel momento le funzioni nervose e il proprio comportamento, la breve durata (le crisi durano pochi secondi o pochi minuti, raramente più di 10 minuti), l’inizio e la fine improvvisi.
Quali sono i tipi principali di crisi?
La suddivisione più importante è fra crisi generalizzate e crisi parziali. Le crisi generalizzate, tipiche dell’epilessia idiopatica (vedi sopra) consistono in mioclonie (improvvise scosse muscolari degli arti o del tronco, che raramente provocano cadute a terra ma spesso fanno cadere gli oggetti di mano); assenze (improvvise sospensioni della coscienza della durata di 5-30 secondi, talora accompagnate da qualche scossa dei muscoli palpebrali; sono facilitate dalla respirazione forzata); crisi convulsive generalizzate (il “grande male”), caratterizzate da perdita di coscienza, irrigidimento tonico e scosse cloniche di tutta la muscolatura, con caduta a terra, morsicatura della lingua e talora perdita di urine. È la manifestazione epilettica più importante e impegnativa, per i rischi di trauma ma anche per l’impegno respiratorio e cardiovascolare prodotti dalle contrazioni massive della muscolatura.
Le crisi parziali sono tipiche dell’epilessia sintomatica e criptogenica. Si dividono in due grandi categorie, le crisi parziali semplici e le crisi parziali complesse. Le crisi parziali semplici sono caratterizzate da segni di attività parossistica di una zona del cervello con funzioni specifiche: scosse muscolari a un arto (crisi motorie), sensazioni abnormi in un territorio cutaneo (crisi somatosensoriali), sensazioni visive (crisi visive), sensazioni acustiche (crisi uditive), sensazioni fastidiose allo stomaco e alla gola, con palpitazione e rossore del volto (crisi vegetative, la cosiddetta “aura epigastrica”) impressione di “già visto” o “già vissuto” (crisi dismnesiche), “pensiero forzato”, cioè una improvvisa idea che domina la mente (crisi cognitive), stati di animo di paura improvvisa (crisi affettive). In tutte le crisi parziali semplici la coscienza è conservata.
Nelle crisi parziali complesse invece la coscienza è compromessa e il paziente appare confuso (crisi confusionali); talora mostra movimenti automatici del volto e del tronco (crisi psicomotorie). Sono tipiche dei focolai della corteccia dei lobi temporali o frontali. Tutte le crisi parziali, semplici o complesse, possono diffondere all’intero cervello e concludersi con una crisi convulsiva generalizzata di grande male.
Quali sono i disagi che il soggetto con crisi subisce?
Il principale è proprio il rischio di essere soggetti, in maniera imprevedibile e incontrollabile, a momenti, seppure brevi, nei quali non si è più in grado di governare il proprio comportamento. In queste occasioni si resta esposti a tutti i rischi ambientali - ad esempio, se il disturbo della coscienza compare improvvisamente, mentre il paziente sta utilizzando una macchina utensile o mentre sta guidando l’auto, oppure mentre è in casa e la perdita di coscienza avviene di fronte a un fornello acceso e all’acqua che bolle. Inoltre il frequente ripetersi degli episodi, specialmente in alcune forme di epilessia del bambino, può comportare un ritardo dello sviluppo intellettivo. Infine, le implicazioni sociali dell’essere epilettico possono costituire un problema grave per l’integrazione nella scuola, nel lavoro e nella realizzazione della propria vita affettiva e dei diritti civili.
Come si diagnostica l’epilessia?
La cosa più importante è raccogliere in maniera accurata la storia clinica del paziente, cioè farsi raccontare in dettaglio le crisi: come sono provocate, come iniziano, come si sviluppano etc. È necessario interrogare il paziente e i parenti che hanno osservato le crisi. La registrazione di un EEG è molto utile, perchè il tracciato mostra, in circa metà dei casi, modificazioni caratteristiche. Quando le crisi sono rare è molto utile la registrazione prolungata (EEG di 24 ore), per aumentare la durata della registrazione, osservare il tracciato nel sonno e al risveglio e aumentare la probabilità di cogliere modificazioni significative. Bisogna visitare il paziente alla ricerca dei segni chimici di una lesione cerebrale. Molto importante è l’esame di Risonanza Magnetica, capace di dimostrare lesioni cerebrali anche di piccole dimensioni e clinicamente inapparenti (l’esame TAC è assai meno informativo).
Cosa sono le sindromi epilettiche?
Sono particolari associazioni di aspetti elettroencefalografici e di sintomi clinici, con una età di esordio e spesso una eziologia caratteristica, riconoscibili e con una specifica prognosi. Le più comuni sono:
- le crisi febbrili semplici (comparsa fra 6 mesi e 5 anni in bambini normali, temperatura di almeno 38°, convulsioni bilaterali tonico-cloniche della durata di pochi minuti, con tendenza a ripetersi in circa metà dei casi, nessun esito);
- le crisi febbrili complesse (stessa banda di età ma in bambini con possibili danni perinatali, temperatura anche inferiore a 38°, convulsioni monolaterali o asimmetriche, durata di almeno 15 minuti, rischio di danno focale e di epilessia futura);
- la sindrome di West (età 4 mesi-1 anno in bambini con lesioni cerebrali gravi di varia natura, crisi costituite da ripetuti spasmi in flessione del capo, tronco e arti superiori, ritardo di sviluppo psicomotorio, tracciato EEG disorganizzato, definito “ipsaritmico”);
- la sindrome di Dravet (età attorno ai 5 mesi, bambini apparentemente normali, forse su base genetica, crisi polimorfe cloniche, miocloniche, assenze, parziali complesse, EEG con polipunte, gravi esiti psicomotori e spesso esito mortale);
- la sindrome di Lennox-Gastaut (età 3-5 anni, crisi polimorfe toniche, atoniche, assenze prolungate, EEG con punta-onda “lenta” e attività rapide, spesso come evoluzione della sindrome di West o di altri danni cerebrali, ritardo cognitivo, disturbi del comportamento);
- la sindrome di Landau-Kleffner (età seconda infanzia senza apparenti danni cerebrali, disturbi della parola progressivi ma con fluttuazioni, disturbi del comportamento, possibile ritardo cognitivo, EEG con punte multifocali o bisincrone facilitate dal sonno non-REM, crisi rare, polimorfe, prevalentemente notturne, che si risolvono verso i 10-15 anni, con guarigione senza esiti in metà dei casi);
- la sindrome di Panayotopoulos: esordio a 1-14 anni in bambini normali che hanno talora presentato convulsioni febbrile semplici infantili, crisi vegetative con vomito, pallore, cefalea, deviazione degli occhi a coscienza conservata, EEG con punte posteriori soppresse dalla fissazione degli occhi su un oggetto, buona prognosi;
- le assenze infantili: esordio fra i 2 e i 10 anni, assenze brevi e frequenti, plurigiornaliere, con qualche mioclonia palpebrale, EEG con scariche di complessi punta-onda, origine genetica, buona prognosi con regressione delle assenze prima dei 12 anni, senza esiti cognitivi ma talora con sporadiche convulsioni tardive;
- la epilessia mioclonica giovanile o sindrome di Janz: esordio a 5-15 anni, mioclonie al risveglio, crisi convulsive generalizzate più frequenti al risveglio, EEG con scariche di polipunta-onda facilitate dal sonno e dal risveglio, buona prognosi senza esiti invalidanti;
- la epilessia rolandica o a punte centro-temporali: esordio a 5-14 anni, crisi notturne sensori-motorie emifaciali o con arresto transitorio della parola, salivazione, EEG con punte focali di grande ampiezza facilitate dal sonno, risposta alla terapia incostante ma tendenza alla remissione prima dei 16 anni;
- la epilessia notturna frontale: esordio 7-12 anni, origine genetica con ereditarietà dominante o secondaria a displasie della corteccia frontale, crisi notturne “ipermotorie” con movimenti grossolani bilaterali degli arti o del tronco, di difficile controllo terapeutico, EEG normali in veglia e poco indicativi anche in sonno;
Alcune forme (come la sindrome di West, di Lennox-Gastaut, di Dravet) sono denominate encefalopatie epilettiche: compaiono nel periodo dello sviluppo cerebrale, come conseguenza di danni cerebrali gravi, e si manifestano con arresto e deterioramento psicomotorio, crisi frequenti e di difficile controllo terapeutico che contribuiscono al deterioramento cognitivo, EEG molto alterati , cattiva prognosi per l’epilessia e per lo sviluppo intellettivo.
Altre forme (come l’epilessia rolandica e la sindrome di Panayotopoulos) sono invece denominate epilessie benigne, poiché si sviluppano in soggetti senza danni neurologici e mostrano la tendenza a risolversi spontaneamente con l’accrescimento; tuttavia, nelle fasi floride, il controllo delle crisi non sempre risulta agevole
La sindrome dell’epilessia chirurgica (peraltro non ancora codificata) è costituita da soggetti nati da parti difficili, che in età infantile hanno presentato convulsioni febbrili prolungate e che verso i 10-20 anni iniziano a mostrare crisi parziali complesse di origine temporale mediale con aura epigastrica, sospensione della coscienza, automatismi oro-alimentari, talora crisi convulsive
L’EEG mostra alterazioni focali nelle regioni temporali di uno o dei due lati; la risonanza mostra una cicatrice anossica nella regione temporo-ippocampale di un lato (“sclerosi mesiale”). La risposta alla terapia farmacologica è scarsa, mentre l’intervento di resezione temporale mesiale con rimozione dell’ippocampo sclerotico (previa verifica video-EEG della zona di origine della scarica epilettogena) determina la scomparsa delle crisi in più del 90% dei casi.
Le principali sindromi epilettiche sono ampiamente descritte da Giuseppe Capovilla nella voce “Epilessie dell’Infanzia e dell’Adolescenza” (vedi oltre).
L’epilessia a esordio infantile si attenua con gli anni?
È vero per certi casi: vi sono delle forme di epilessia che si esauriscono nell’adolescenza come il “piccolo male” e le cosiddette epilessie benigne dell’adolescenza (la forma più nota e più frequente è l’epilessia “rolandica” o “a punte centro-temporali; v. sopra e v. l’articolo di Giuseppe Capovilla). La maggior parte dei pazienti con epilessie a esordio infantile, sia idiopatiche sia criptogenetiche o sintomatiche di una lesione cerebrale, deve esser controllata con i farmaci per periodi molto lunghi, talora per tutta la vita.
Gli anziani sono soggetti ugualmente all’epilessia?
Sì, com’è indicato dalle curve di incidenza (l’incidenza indica il numero di nuovi casi in un anno). Il periodo di maggiore incidenza dell’epilessia è l’infanzia, fino ai 10 anni; l’incidenza di nuovi casi rimane stabile fino ai 50-60 anni, e poi ricomincia a salire. Nell’età anziana l’incidenza dell’epilessia è incrementata da disturbi circolatori, tumori, processi atrofici cerebrali, processi morbosi che vanno aumentando di frequenza con gli anni e che possono essere causa di epilessia.
Chi ha avuto crisi da bambino torna ad averle da anziano?
Questo è possibile. Chi ha l’epilessia da bambino può presentare una forma benigna che si esaurisce da sola; oppure mostrare una tendenza costituzionale stabile o essere portatore di una lesione cerebrale e deve essere curato per periodi lunghi. Non è raro che, nei primi anni di vita, crisi convulsive febbrili di lunga durata provochino una lesione che si manifesta a distanza di anni con una epilessia persistente. Purtroppo non abbiamo farmaci che guariscono in maniera definitiva, ma farmaci che controllano le crisi fintanto che vengono assunti. Solo l’intervento chirurgico, quando è possibile, consente la guarigione.
C’è qualche segnale d’allarme che può anticipare una crisi epilettica?
Questa è una domanda molto importante. Alcune crisi sono “precedute” da sensazioni (la famosa “aura” epilettica) che rappresentano in realtà l’esordio della crisi stessa, ma che avvengono quando la coscienza è ancora lucida. Uno degli “avvertimenti” più frequenti è una sensazione di “morsa” allo stomaco che risale verso la gola: è una strana esperienza che i pazienti descrivono come qualcosa che spinge, che preme o che stringe. Altre volte si può trattare di un odore, una sensazione visiva, un irrigidimento di una mano, un sentimento di estraneità o di familiarità (per esempio, l’impressione di avere “già visto” la scena che si sta guardando). Se queste esperienze compaiono a coscienza lucida il paziente si rende conto che la crisi si sta sviluppando e può quindi realizzare una strategia di difesa, ad esempio afferrare la balaustra se sta scendendo una scala, allontanarsi dal gas acceso se è in cucina o anche semplicemente sedersi. Se guida può fermare l’auto (anche se non bisognerebbe guidare con una epilessia ancora attiva: lo dice anche la legge, che prescrive in Italia due anni liberi da crisi prima di ottenere la patente). Non raramente la crisi si limita alla sola “aura”, ma il paziente non è mai sicuro di ciò che avverrà subito dopo: “solo l’aura o anche la perdita di coscienza?”. Le crisi che interrompono il flusso della coscienza improvvisamente lasciano il paziente repentinamente privo di difese e sono a maggiore rischio.
Si può curare l’epilessia?
Si può curare sempre, ma solo nel 60-70% dei casi si riesce a ottenere la sospensione o una riduzione significativa delle crisi. Si usano farmaci che bloccano la tendenza delle cellule cerebrali a produrre le scariche neuronali ad alta frequenza che sottendono la crisi epilettica. Alcune volte la terapia non riesce a fare scomparire le crisi, ma solo a rendere la crisi “più leggera”, per esempio limitata all’aura, senza il successivo disturbo della coscienza. È un risultato di grande significato clinico che lascia però il paziente in una condizione di incertezza.
Inoltre il paziente deve avere ben chiaro il concetto che l’effetto terapeutico dei farmaci è sintomatico (agisce cioè sul sintomo crisi ma non sul processo morboso che provoca la crisi) e che l’azione dei farmaci termina poche ore o al massimo qualche giorno dopo che si è interrotta la cura. La decisione di intraprendere una terapia è perciò molto impegnativa, sia per il paziente che assume i farmaci sia per il medico che li prescrive. È necessario che il medico scelga il farmaco e le dosi in maniera corretta, ma è altrettanto importante che il paziente comprenda il significato e gli scopi della terapia e la prosegua in maniera precisa e per un lungo periodo di tempo, quasi sempre molti anni e non raramente tutta la vita.
Infine, vi è il problema degli effetti collaterali. Nessun farmaco ne è esente, anche se alcuni sono meglio tollerati di altri. Il più frequente è la sedazione, che può essere controllata da un inizio molto graduale della terapia (la cosiddetta “titolazione”) e che si estingue nel tempo. Vi sono altri effetti, meno frequenti ma più importanti, come le reazioni allergiche o le intolleranze metaboliche. Alcuni soggetti mancano degli enzimi necessari a trasformare e eliminare il farmaco, e vanno incontro a eventi morbosi che richiedono la sospensione e il cambio del farmaco. La maggior parte degli effetti collaterali si verifica all’inizio della terapia, periodo che va sempre spiegato al paziente e sorvegliato dal medico.
Un 30-40% dei pazienti non risponde ad alcun trattamento farmacologico, e viene definito “farmaco-resistente”. Sono i casi più impegnativi, che si rivolgono ai centri specializzati, e per i quali è fondamentale la ricerca di nuove strategie terapeutiche. Lo scopo principale della nostra Fondazione FOREP è ricercare soluzioni per questi casi.
Quanto incide la volontà del paziente?
Vanno considerati vari aspetti. Vi sono pazienti che riescono, all’inizio della crisi, concentrandosi particolarmente, modificando il ritmo del respiro o l’attività motoria, a controllare del tutto o parzialmente le loro crisi. In altri pazienti è possibile identificare la condizione che dà l’avvio alla crisi (l’evento più frequente sono le luci intermittenti) e il paziente previene la crisi evitando di esporsi a luci instabili. Per altri, risulta cruciale un regolare ritmo di sonno, e le crisi possono essere prevenute rinunciando o programmando con accortezza le lunghe veglie del sabato sera.
Per tutti però c’è il problema di precisione della terapia: le medicine che bloccano l’insorgere della crisi devono essere mantenute in una concentrazione abbastanza stabile nel sangue nelle 24 ore, un giorno dopo l’altro, per anni. Essenziale è quindi la precisione nell’assunzione delle terapie. Quindi, alcuni pazienti (casi che noi definiamo di “pseudo-resistenza”) non trovano giovamento perché non seguono la terapia in maniera precisa, il che non è un impegno da poco.
L’epilessia si può curare ma non si può guarire?
No, non è sempre così. Vi sono le forme che iniziano nell’infanzia, su base costituzionale, che si esauriscono spontaneamente con l’accrescimento e vanno quindi curate per periodi limitati, in attesa della guarigione spontanea. In altri pazienti, anche se portatori di una lesione epilettogena, la potenzialità a sviluppare crisi sembra esaurirsi nel corso dei lunghi anni di terapia, e in alcuni casi seguiti a lungo si può giungere alla sospensione della terapia.
Inoltre, in non pochi casi (che vanno accuratamente selezionati) si può asportare, con un intervento chirurgico, la zona del cervello da cui prende inizio la crisi. Identificare questi pazienticasi è uno dei compiti più impegnativi per chi si occupa di epilessia. Il primo centro che in Italia si è dedicato a questo tipo di chirurgia è stato istituito da Claudio Munari presso l’Ospedale Niguarda di Milano. La FOREP si è impegnata a creare una struttura per la chirurgia dell’epilessia nell’Italia centrale, localizzata presso l'IRCCS Neurologico NEUROMED di Pozzilli (IS), in Molise.
Naturalmente, in tutti i servizi generali di Neurochirurgia si opera sul cervello, e si operano pazienti in cui la lesione si è resa evidente provocando crisi epilettiche. La differenza fra un servizio generale di Neurochirurgia e un servizio per la Chirurgia della epilessia è che nel primo si ricerca e si opera la lesione, nel secondo si ricerca e si opera, oltre alla lesione, la zona che provoca le crisi, che non coincide sempre con la lesione, e certe volte si opera senza lesione dimostrabile. La differenza è notevole, sia sul piano delle indagini che del successo nel controllo delle crisi.
Come si selezionano i pazienti per l’intervento chirurgico?
L’intervento è limitato ai soggetti farmaco-resistenti, cioè ai pazienti che soffrono di crisi non controllate dai farmaci. Inoltre è necessario essere certi che le crisi prendono origine da una precisa e identificabile zona del cervello. Infine questa zona deve essere asportabile chirurgicamente senza provocare deficit neurologici, cioè senza determinare disturbi della forza muscolare, della sensibilità o della parola.
Come si definisce la zona di origine delle crisi?
È denominata focolaio o zona epilettogena, e dà origine alla scarica neuronale parossistica responsabile della crisi; può essere situata in un qualsiasi punto della corteccia cerebrale ma è frequentemente localizzata nel lobo temporale. La zona circostante all’area epilettogena, che genera le alterazioni dell’EEG che si registrano fra una crisi e l’altra, è denominata zona irritativa. Le zone collegate, che danno origine ai segni clinici della crisi sono denominate zone sintomatogene. Possono essere anche lontane dalla zona epilettogena, e possono mostrare una certa variabilità fra un attacco e l’altro. Producono i sintomi quando vengono invase dalla scarica neuronale parossistica.
Come si riesce a stabilire ove è localizzata l’area epilettogena?
Bisogna osservare le crisi. Per questo si usano sistemi combinati di registrazione dell’EEG di una o più tracce video. In pratica il paziente si siede o si corica a letto davanti alle telecamere, mentre viene registrato in contemporanea l’EEG. Si siede e aspetta.
Che cosa aspetta?
Aspetta che arrivi la crisi. Generalmente si tratta di pazienti con molte crisi; inoltre, per facilitare la comparsa delle crisi vengono diminuiti leggermente i farmaci antiepilettici.
Non è pericoloso?
No, perché un medico o un tecnico esperti sono pronti a intervenire se sopravviene la crisi. Inoltre, l’ambiente è protetto, poichè il paziente viene posto in una comoda poltrona o a letto, senza rischio di traumi, e in un reparto neurologico dedicato a questi problemi. Bisogna osservare alcune cautele: per esempio, quando il paziente si alza per le sue esigenze igieniche, deve indossare un casco protettivo.
Ma l’attesa è lunga?
Certamente di qualche giorno. In media per osservare le crisi è necessario ricoverare il paziente per 3-7 giorni. Si esaminano i pazienti mentre la crisi è in corso, interrogandoli per capire se è compromesso il linguaggio e la coscienza, poi si rivedono i nastri video al rallentatore, mentre il tracciato elettroencefalografico viene esplorato con diversi montaggi degli elettrodi. Si riesce quasi sempre a capire ove è piazzato il focolaio. Certe volte è necessaria l’integrazione mediante elettrodi posti chirurgicamente dentro al cranio, posati sulla corteccia o infissi all’interno del cervello. I primi si chiamano griglie, i secondi elettrodi di profondità, e quest’ultima metodica è denominata “stereo-elettroencefalografia”.
Stereoelettroencefalografia? Elettrodi posti nel cervello? Quali sono i rischi?
I rischi sono bassissimi, inferiori all’1%. La metodica diventa necessaria quando i focolai e l’area epilettogena sono situate in una zona di corteccia posta in profondità, quando le scariche epilettogene si diffondono rapidamente e il punto di partenza non è chiaro, o quando vi è il sospetto di focolai multipli o bilaterali. Sapere il punto preciso di origine è essenziale per programmare operazioni chirurgiche mirate e efficaci. Con gli elettrodi di profondità si può raggiungere direttamente il fulcro del focolaio, mentre - osservando solamente l’elettroencefalogramma di superficie - può sfuggire la parte iniziale della scarica epilettogena, “i primi due cruciali secondi”.
Quali sono i vantaggi della chirurgia?
Asportando il focolaio e la zona circostante si bloccano le crisi all’origine. Nelle crisi che originano dal lobo temporale, la guarigione si ottiene nell’80-90% dei casi; nelle crisi degli altri lobi fra il 40 e il 60% dei casi. Il rischio chirurgico e dell’ordine del 1-2%.
Ma allora la terapia farmacologica verrà abbandonata a favore della chirurgia! Vi sarà ancora la spinta a trovare nuovi farmaci?
Terapia farmacologica e chirurgica si integrano perfettamente. Innanzitutto la chirurgia viene presa in considerazione quando i farmaci non funzionano (parliamo in questi casi di “epilessie farmaco-resistenti”); in secondo luogo, solo una percentuale di questi pazienti può essere operata. I focolai in zone essenziali per il movimento o la parola non possono essere rimossi. Inoltre i farmaci vanno proseguiti - anche se a dosi minori e talora temporaneamente - dopo la chirurgia. Infine circa un terzo delle epilessie è di natura costituzionale, senza alcuna lesione strutturale del cervello, e in questi casi solo i farmaci possono aiutare il paziente.
La ricerca farmacologica fortunatamente prosegue. Negli ultimi anni abbiamo avuto a disposizione molte molecole nuove. Tuttavia, un nuovo farmaco consente di guarire non più del 2-3% delle epilessie che non hanno risposto a 2-3 farmaci. È probabile che questo dipenda dai meccanismi d’azione, molto simili nei vecchi e nei nuovi farmaci. La vera novità sarebbe un meccanismo d’azione inesplorato, e questo è più difficile da realizzare, ma si intravede in alcuni dei farmaci più recenti. Inoltre, il mercato si va restringendo (molti farmaci per la stessa patologia), e poiché un nuovo farmaco che giunge in commercio costa in media circa cento milioni di dollari, vi sarà in futuro meno interesse commerciale a scoprire nuove molecole. Le aziende farmacologiche sono anche imprese commerciali, e per produrre devono vendere, e alcuni farmaci con un mercato ristretto stanno per essere tolti dal commercio. La etosuccimide (Zarontin) e il barbesaclone (Maliasin) stanno correndo grossi rischi, malgrado le proteste delle Associazioni professionali e laiche.
Esiste una prevenzione per l’epilessia?
Sì, ed è basata sulla rimozione dei fattori che provocano tale malattia. Una delle cause più facilmente rimovibili è costituita dagli inconvenienti che occorrono durante il parto o subito dopo la nascita. Il parto è un evento traumatico per la madre e per il neonato, e il cervello neonatale è estremamente sensibile alla carenza di ossigeno. Doglie prolungate, ritardi in fase espulsiva o blocco della progressione del parto, giri di cordone al collo possono compromettere l’afflusso di sangue attraverso la placenta. Nel momento in cui si passa dalla respirazione attraverso la placenta alla respirazione attraverso i polmoni vi è un intervallo di qualche secondo che, se si prolunga, provoca una carenza di ossigeno e lascia delle cicatrici che svilupperanno l’epilessia negli anni seguenti.
Le crisi convulsive febbrili prolungate dei primi 2-3 anni di vita costituiscono un altro evento a rischio a causa dell’elevato consumo energetico del cervello e dei disturbi respiratori prodotti dalla convulsione. Se la convulsione dura più di 5-10 minuti è opportuno somministrare al bambino diazepam per via rettale. La via rettale consente il rapido assorbimento del farmaco e permette di bloccare la crisi. Vi sono microperette già preparate da 5 e da 10 mg, che vanno tenute in casa quando il bambino ha presentato una prima crisi convulsiva.
Un’altra causa che può essere prevenuta sono i danni consecutivi a traumi cranici, mediante l’uso del casco da parte dei motociclisti e della cintura da parte degli automobilisti, e mediante l’applicazione e l’osservazione delle misure protettive durante il lavoro. È stato calcolato che l’obbligo di indossare il casco abbia risparmiato circa 500 morti all’anno. Conosciamo tutti l’alto numero di incidenti traumatici sul lavoro. Quando il cranio subisce un colpo vi può essere nel punto d’impatto un infossamento del tavolato cranico e una lesione diretta del cervello. Inoltre, il cervello rimbalza nella scatola cranica come una palla e urta contro le pareti, rimanendo contuso, soprattutto nei poli temporali e frontali. La successiva cicatrice facilmente diventa epilettogena.
Non abbiamo invece una convincente prevenzione farmacologica. È abitudine di molti neurochirurghi e neurotraumatologi somministrare un farmaco contro l’epilessia ai pazienti che hanno subito un intervento neurochirurgico o un trauma cranico. Noi neurologi non siamo d’accordo, perché non è dimostrato che i farmaci antiepilettici abbiano un effetto preventivo sullo sviluppo di un focolaio epilettogeno. Le terapie mediche contro l’epilessia agiscono contro la crisi, non contro la formazione delle lesioni responsabili delle crisi. Somministrando un farmaco antiepilettico quando il paziente non ha avuto crisi si corre il rischio di indurre crisi da sospensione, quando prima o poi la terapia dovrà essere interrotta
Il pubblico conosce tutto quello che si può fare per curare l’epilessia?
Il grande pubblico conosce poco l’epilessia, anche perchè non raramente chi ne soffre ha paura di farlo sapere, come se avere le crisi fosse una colpa. Vi è un tabù sull’epilessia, che è necessario sconfiggere. Per questo è importante informare, e un ruolo fondamentale è svolto dalle associazioni per la promozione della ricerca, come la FOREP, e dalle associazioni laiche, cioè le unioni di pazienti e parenti, che possono agire da tramite fra la comunità scientifica e il grande pubblico.
Ci sono associazioni di questo tipo in Italia?
La più conosciuta è l’Associazione Italiana contro l’Epilessia (AICE), che ha diramazioni in gran parte dell’Italia, e provvede a organizzare convegni divulgativi e a informare le famiglie circa i diritti dei pazienti.