di Ada Francia, Mario Manfredi e Stefano Ricci
Un problema di frequente riscontro nell’attività clinica dell’epilettologo è il consiglio da dare alla donna con epilessia che vuole iniziare o che sta iniziando una gravidanza. La gravidanza di per se non determina usualmente variazioni nell’andamento dell’epilessia materna, poiché nella maggior parte dei casi la frequenza delle crisi non cambia; in alcune donne può aumentare e in altre diminuire. Tuttavia, il timore di malformazioni nel bambino è a volte tale da indurre la madre ad abbandonare la terapia, con gravi conseguenze. Le donne con epilessia devono essere rassicurate, poiché con un programma adeguato e con una guida attenta, la gravidanza è possibile con minimi rischi, sia per la madre sia per il nascituro, anche in molte donne che soffrono di manifestazioni maggiori (crisi con perdita di coscienza).
Bisogna innanzitutto ricordare che l’efficacia della pillola anticoncezionale è minore quando si assumono farmaci anticonvulsivi che attivano gli enzimi del fegato (come per esempio la carbamazepina, la fenitoina, il fenobarbital, la oxcarbazepina, il topiramato), poiché gli ormoni estrogeni contenuti nella pillola vengono eliminati più rapidamente. È perciò opportuno utilizzare, se possibile, farmaci anticonvulsivi che non attivano gli enzimi del fegato (per esempio il gabapentin, la lamotrigina; il valproato appartiene a questa categoria ma presenta altri inconvenienti; v. oltre). Nelle pazienti che devono assumere farmaci attivatori degli enzimi del fegato (come i barbiturici, la carbamazepina, la fenitoina, la oxcarbazepina e il topiramato) è opportuno utilizzare pillole con un contenuto di estrogeni superiore a 50 microgrammi, oppure prescrivere una dose doppia di anticoncezionali a basso dosaggio. In alternativa o in aggiunta, utilizzare un differente metodo anticoncezionale.
Il rischio di malformazioni è lievemente più alto nelle donne con epilessia che nel gruppo di controllo. Nelle donne in generale il rischio di malformazioni fetali è del 2,5-3,5% delle gravidanze, mentre nelle donne con epilessia il rischio sale al 4-9%, a seconda della gravità della epilessia e del carico farmacologico. Il rischio è maggiore se, in aggiunta alla assunzione dei farmaci, si verificano crisi durante la gravidanza. L’aumento del rischio malformativo “farmacologico”, cioè secondario all’azione del farmaco sullo sviluppo embrionale e fetale, avviene soprattutto per le terapie con più farmaci (politerapia) e per l’assunzione di carbamazepina, fenitoina, fenobarbital e soprattutto valproato. Quest’ultimo provoca un incremento percentuale delle malformazioni legate alla mancata chiusura del tubo neurale, e Il rischio aumenta se nella famiglia vi sono stati altri casi di malformazione del feto.
Poiché non è semplice sostituire un farmaco “in corso d’opera”, cioè quando la terapia è in atto da tempo e con buoni risultati, sotto l’urgenza di una gravidanza in arrivo o già iniziata, è importante evitare la prescrizione di valproato in donne in età fertile che desiderano dichiaratamente di volere gravidanze. L’attuale disponibilità di farmaci di efficacia e con indicazioni simili al valproato consente tale strategia, con le dovute eccezioni.
È ora prassi comune somministrare alla madre, prima dell’inizio della gravidanza (che va quindi programmata), una vitamina - la folina - per proteggere il feto dalle malformazioni del tubo neurale. La protezione va iniziata due mesi prima del concepimento e proseguita per il primo trimestre della gravidanza. È comunque relativa, e non esime dai controlli medici, ecografici e di laboratorio.
Anche la comparsa di crisi in gravidanza comporta, oltre ai pericoli per la madre, un incremento dei rischi per il neonato. Questo si verifica nelle crisi maggiori, con perdita di coscienza, caduta e convulsioni, soprattutto quando le crisi si ripetono in rapida successione o a breve distanza di tempo (crisi a grappolo o stati di male epilettico). Le crisi ripetute e gli stati di male sono una tipica complicanza della sospensione brusca della terapia antiepilettica. I meccanismi patogeni messi in moto dalle crisi convulsive ripetute sono i disturbi della respirazione della madre e quindi la mancanza di ossigeno nel feto, i traumi addominali provocati dalle cadute e il distacco della placenta provocato dalle cadute o dalla stessa convulsione.
Le complicanze provocate dall’epilessia sul decorso della gravidanza sono rare, e consistono in un lieve aumento percentuale delle minacce d’aborto, dell’aborto spontaneo, del parto prematuro e della tossicosi gravidica rispetto alle donne senza epilessia.
Il comportamento consigliato nel nostro Centro è il seguente:
1) nel periodo pre-gestazionale
2) nel periodo gestazionale
3) nel periodo post-gestazionale
Se la gravidanza non è programmata
Circa il parto, le indicazioni per il taglio cesareo sono le stesse che per le donne senza epilessia, e le modalità del parto vanno quindi decise dall'ostetrico. Solo in presenza di crisi frequenti, che possono interferire con la collaborazione della madre al parto, va preferito il taglio cesareo.
A parte il rischio malformativo, l’effetto della terapia antiepilettica sul feto non è rilevante. Nel corso di tutta la gravidanza, il feto è sottoposto all’azione del trattamento anticonvulsivo materno, poiché non vi sono differenze fra il contenuto dei farmaci nel sangue della madre e nel sangue della placenta, e vi è libero passaggio dei farmaci attraverso la placenta. Nel sangue del bambino, alla nascita, è presente perciò una quota dei farmaci assunti dalla madre, e il bambino può presentare, subito dopo la nascita, una sedazione eccessiva con ipotonia e minore vigore nel succhiare il latte. Questo avviene quando la madre assume farmaci anticonvulsivi a effetto sedativo (barbiturici, benzodiazepine, ecc.). Il disturbo è di lieve entità e regredisce in pochi giorni. Se il bambino non viene allattato dalla madre, egli viene privato improvvisamente dei farmaci che la madre gli forniva attraverso la placenta, e può sviluppare una sindrome da deprivazione con pianto eccessivo, irrequietezza e tremori. Anche questa condizione non è grave, ma si può protrarre per qualche settimana. Infine, alcuni farmaci (come i barbiturici e la fenitoina) possono aumentare nel feto il consumo di vitamina K e ridurre la produzione di fattori della coagulazione. Si può perciò talora verificare nel neonato una tendenza alle emorragie, che rende opportuno somministrare alla madre, nelle ultime due settimane prima del parto, un supplemento di 20 mg al giorno di vitamina K; oppure al neonato, per 1-2 settimane, una dose di 1 mg al giorno.
L’allattamento, e l’assorbimento attraverso il latte dei farmaci anticonvulsivi assunti dalla madre, non costituisce un pericolo per il neonato. La quantità di farmaco contenuta nel latte materno è infatti minore che nel sangue materno, e anche se può mantenere il neonato lievemente sedato, contribuisce ad evitare la sindrome da deprivazione (v. sopra), poiché i farmaci vanno lentamente riducendosi nel sangue del bambino con il progressivo diradarsi delle poppate. Invece, l’allattamento con gli inevitabili risvegli notturni connessi con le poppate possono aumentare il rischio di crisi nella madre, che deve anche cautelarsi dal pericolo di far cadere il neonato a causa di una crisi sopravvenuta mentre lo allatta. È opportuno perciò che la madre che allatta sorregga il bambino in una posizione tale da evitare conseguenze in occasione di una perdita di coscienza (per esempio coricandosi a letto, sedendosi su una larga poltrona o sul pavimento sopra dei cuscini). Non è necessario ricorrere all’allattamento attraverso il biberon, dopo avere aspirato il latte dalle mammelle, o passare al latte artificiale.