Per inquadrare correttamente le crisi e le sindromi è essenziale la ricostruzione degli eventi, e quindi una anamnesi il più accurata possibile, basata sulle testimonianze del paziente integrate dalle osservazioni di coloro che hanno assistito alle crisi, generalmente i parenti o le persone che vivono a contatto con il paziente. Non sempre infatti il paziente è in grado di ricostruire la sequenza degli accadimenti, sia perché la coscienza può essere disturbata sia perché l’emozione generata dalla crisi altera la percezione degli eventi e il consolidamento dei ricordi. Solo il paziente può riferire quello che avverte dentro di sé, ma solo un astante può riferire le manifestazioni esterne della crisi e la loro esatta sequenza (la mimica, la gestualità, il colorito del volto). L’emozione attanaglia anche gli astanti, e le ricostruzioni anamnestiche lasciano spesso margini di dubbio (per questo raccomandiamo le registrazioni video, a partire dalla video-EEG).
Nell’adulto, le testimonianze dei familiari sono meno frequenti che nel bambino, poiché lo stile di vita porta il paziente lontano dai familiari, nei luoghi di lavoro e di svago. I familiari riferiscono di solito testimonianze di seconda mano, anch’esse importanti anche se meno precise, che vanno comunque sollecitate affinché il familiare stesso si trasformi in un investigatore raccogliendo informazione da amici o colleghi, naturalmente dopo avere ottenuto il consenso del paziente (la raccolta della anamnesi viene spesso, e giustamente, paragonata ad una indagine poliziesca).
In linea generale, la raccolta della anamnesi inizia dalla descrizione degli eventi accessuali, senza contentarsi delle condizioni che il paziente considera “crisi”, ma ricercando nel passato se accadimenti considerati banali o poco importanti costituivano in realtà manifestazioni accessuali meno appariscenti ma ugualmente significative. È frequente infatti che il paziente riferisca come “crisi” solo gli eventi maggiori (tipicamente le convulsioni) e trascuri la descrizione di fenomeni accessuali soggettivi (come una fugace sensazione alla stomaco, l’improvviso emergere di un ricordo o brevi momenti di confusione) che si sono verificate nel corso degli anni e che solo domande specifiche possono portare alla luce. Accertare la comparsa di più tipi di eventi accessuali è uno dei criteri per la classificazione della sindrome epilettica.
Elemento essenziale per la diagnosi è stabilire la durata della crisi: le crisi epilettiche durano quasi sempre da pochi secondi a decine di minuti. Altro dato rilevante è la ripetitività degli eventi: le crisi successive di un paziente sono simili e anche se vi sono più tipi di crisi ognuna tende a riprodurre le stesse manifestazioni. Vanno sempre specificate la età al momento della prima crisi, le date delle ultime crisi, la frequenza delle crisi nei momenti peggiori e l’intervallo libero fra una crisi e l’altra al fine di stabilire la severità della epilessia. Vanno poi investigate le circostanze in cui le crisi si verificano allo scopo di identificare eventuali fattori favorenti. Se l’epilessia è passata sotto la investigazione di altri medici, si deve cercare di ricostruire le terapie sperimentate possibilmente con le dosi massime raggiunte, la efficacia terapeutica e gli eventuali effetti collaterali.
Per identificare le cause della epilessia vanno ricercate le patologie neurologiche e generali che il paziente ha presentato e la occorrenza di eventi accessuali in altri membri della famiglia, al fine di comprendere se l’epilessia può essere legata a malattie passate, di nuova comparsa o se presenta un aspetto “idiopatico” (costituzionale), eventualmente con un apporto genetico. Eventi da investigare sempre con accuratezza sono l’andamento della gravidanza, le modalità del parto e l’occorrenza di convulsioni nei primi anni di vita. Lesioni acquisite nella vita fetale o nelle prime epoche postnatali e fino ad allora asintomatiche possono infatti generare epilessia in età adulta. Importante verificare lo stile di vita e possibili abusi, per esempio di alcol. È necessario valutare l’impatto delle crisi sulle attività del paziente in famiglia, nel lavoro, nel tempo libero e nello sport al fine di comprendere quale “aggressività” la terapia debba assumere. Nel ricostruire la storia si passa infine alla revisione degli EEG e delle neuroimmagini, basandosi sui referti e sulla diretta ispezione degli esami o - solo se inevitabile - sui ricordi del paziente. Non sempre la investigazione può essere conclusa alla prima visita.
Nello stilare la diagnosi è bene seguire uno schema uniforme, collocando gli eventi in cinque dimensioni diagnostiche denominate, nel linguaggio tecnico suggerito da Jerome Engel, cinque “assi”: la ”fenomenologia” delle crisi (cioè le manifestazioni cliniche), il tipo di crisi secondo la terminologia “ufficiale” della classificazione internazionale (vedi Appendice, Tabella 7), il tipo di sindrome epilettica anche in questo caso con la terminologia della classificazione internazionale (vedi Appendice, Tabella 8), la eziologia della epilessia, e infine le conseguenze sulla qualità di vita.
E l’esame neurologico? Nella maggior parte dei casi è normale, poiché l’epilessia è un evento “funzionale”, che non lascia tracce dopo la crisi. Quando l’esame clinico mostra segni di un danno neurologico, è molto probabile che esso sia espressione della lesione che ha provocato l’epilessia e diventa perciò una informazione di notevole valore diagnostico, che va sempre esplorata alla fine della raccolta della storia clinica.