di Mario Manfredi
Si definisce resistente una epilessia che non risponde alla terapia farmacologica condotta in maniera corretta (farmaci e dosi adeguate). È comunemente accettato che devono essere stati utilizzati almeno 2-3 farmaci, per un periodo di osservazione di almeno due anni. È fondamentale un resoconto accurato delle crisi, che non sempre è facile (per disattenzione, quando le crisi son inavvertite dal paziente o avvengono nel sonno). Nella definizione di resistenza va inclusa anche la gravità clinica delle crisi (caduta, perdita non preannunciata della coscienza, attività a rischio). Il numero di questi pazienti è ragguardevole. Le stime più comunemente accettate valutano attorno al 20% i pazienti che non rispondono alle terapia farmacologia. Sicuramente non si scende sotto al 10%, e almeno il 60% di questi pazienti sono affetti da epilessie focali. Il calcolo teorico sui pazienti italiani consente perciò di stimare che su 400.000 pazienti con epilessia, almeno 40.000 - 80.000 pazienti sono farmaco-resistenti, a seconda che si consideri la percentuale restrittiva del 10% o la percentuale estensiva del 20% di farmaco-resistenza, con un incremento annuo di 2000 nuovi casi.
Le cause della resistenza sono in larga parte individuali e non sempre chiare, e si attendono lumi dalla ricerca genetica. I meccanismi più probabili sono due: 1) la mancata risposta dei recettori sui quali i farmaci dovrebbero agire a causa di una refrattarietà costituzionale o acquisita nel corso della ripetizione delle crisi; 2) l’impossibilità dei farmaci di raggiungere i recettori a causa di alcune proteine di trasporto che “afferrano” le molecole del farmaco e le trasportano al di fuori del tessuto nervoso. Ognuna di queste teorie possiede argomenti a favore e contrari.
Va esclusa la “pseudo-resistenza”, quando il paziente non assume regolarmente i farmaci o non tutte le sue crisi sono di natura epilettica (i pazienti con crisi epilettiche possono presentare anche crisi di natura ansiosa o da abbassamento della pressione arteriosa). Un’attenta investigazione della storia clinica, l’osservazione video-EEG delle crisi, dosaggi periodici dei farmaci nel sangue e la responsabilizzazione dei parenti possono essere di grande aiuto.
Bisogna anche tenere presenti i possibili errori di diagnosi: in età giovanile le pseudo crisi e le sincopi vegetative, cioè da ipotensione arteriosa in posizione eretta, anche ma di origine cardiaca (sindrome del Q-T lungo); in età adulta e senile le sincopi cardiogene da irregolarità del ritmo (specie da blocco della conduzione fra atrio e ventricoli) sono condizioni che possono essere erroneamente diagnosticate come epilessia.
I fattori di rischio principali per una vera resistenza sono:
Il tempo necessario per concludere che una epilessia è resistente varia a seconda della frequenza delle crisi, ma poiché i casi resistenti mostrano abitualmente crisi frequenti (plurimensili, plurisettimanali o peggio) è inutile prolungare l’osservazione oltre i 3-4 anni, e l’uso ragionato dei farmaci oltre i 3-5 schemi terapeutici. Alcuni autori riducono il periodo necessario a “decretare” la farmaco-resistenza a un solo anno. È noto infatti che il successo della terapia farmacologica diminuisce radicalmente quando il primo e il secondo farmaco hanno fallito.
Secondo uno studio statistico effettuato in Gran Bretagna (Kwan e Brodie, N. Eng.J.Med – 342: 3149, 2000), le percentuali di successo sono le seguenti: