di Amedeo Bianchi
Responsabile della Commissione Genetica Lega Italiana contro l’Epilessia e del Centro Epilessia
U.O. di Neurologia - Ospedale San Donato, Arezzo
È nota da tempo l’importanza di una predisposizione familiare nel determinare la insorgenza di crisi epilettiche e già Ippocrate affermava nel 400 a.C. : “…essa ha origine, come anche le altre malattie dall’ereditarietà…infatti se fosse una malattia più divina delle altre dovrebbe colpire tutti allo stesso modo, senza distinguere i flegmatici dai biliosi”. L’epilessia tuttavia, come ora la conosciamo, comprende sindromi diverse per eziologia, caratteristiche cliniche e prognosi e solo in alcune forme l’ereditarietà appare di reale importanza. Fra queste si delinea il gruppo delle epilessie idiopatiche, che rappresenta circa il 30% di tutte le epilessie, dove il fattore genetico assume valore eziologico primario nel determinare la sindrome. Inoltre va segnalato un gruppo più raro (circa l’1% delle epilessie) costituito dalle encefalopatie genetiche epilettogene e tra queste in particolare le epilessie miocloniche progressive che rappresentano malattie a trasmissione genetica definita di tipo mendeliano.
Negli ultimi anni numerosi studi clinici sui gemelli e sulle famiglie hanno cercato di definire la modalità di trasmissione genetica delle epilessie e la valutazione del rischio individuale. Il tasso di concordanza per epilessia (cioè la percentuale di soggetti che presentano la stessa forma di epilessia) è nettamente più alto nei gemelli monozigoti (che provengono da un solo ovulo e da un solo spermatozoo) rispetto ai gemelli dizigoti (che provengono da due ovuli e due spermatozoi). Se combiniamo i maggiori studi sui gemelli troviamo un tasso medio di concordanza del 60% per i monozigoti e del 13% nei dizigoti. La concordanza appare differente nelle diverse forme sindromiche e in particolare si osserva che nei gemelli monozigoti con epilessia idiopatica è presente la stessa forma clinica in oltre l’80% dei casi.
Gli studi familiari e di popolazione hanno permesso di evidenziare la presenza di un maggiore rischio a sviluppare una forma di epilessia nei parenti di un paziente affetto da epilessia, rispetto alla popolazione generale, dove si assume un rischio dell’1%. In particolare nei fratelli di un caso affetto da epilessia si osserva un maggior rischio del 3-5%; nei figli di un genitore con epilessia il rischio è nell'ordine del 4-6%. Il rischio aumenta all’8% se è affetto da epilessia oltre il probando (si intende con questo termine il soggetto in corso di studio) anche un secondo membro della famiglia nucleare (la comunità costituita da padre, madre e figli). Nei figli di un genitore affetto da epilessia il rischio di crisi epilettiche è nettamente diverso se a presentare l’epilessia è la madre (8,7%) rispetto al padre (2,4%).
Un altro aspetto da valutare riguarda quale forma di epilessia si manifesta in un nuovo caso familiare e se questa è simile alla forma clinica del probando. È stato osservato che una concordanza completa per la stessa forma sindromica si osserva solo nel 25% delle famiglie. Negli altri casi possono essere presenti nella stessa famiglia due o tre forme cliniche di epilessia. La concordanza per la stessa forma clinica è più alta nei parenti di primo grado, con una frequenza che varia dal 30 al 40% a seconda delle diverse forme sindromiche.
Gli studi di genetica clinica non hanno permesso di definire un modello di trasmissione genetico univoco per le diverse forme e, ad eccezione per le rare forme con trasmissione mendeliana diretta (dal genitore al figlio), nelle forme sindromiche più comuni va assunto un modello di trasmissione complesso di tipo oligogenico-poligenico (cioè con l’intervento di pochi o di più geni) e/o multifattoriale, una condizione quest’ultima nella quale si ipotizza per lo sviluppo della sindrome una azione concomitante di fattori ereditari, fattori ambientali e caratteristiche individuali.
La definizione di una specifica mutazione genica è il risultato di complesse e articolate strategie di studio che hanno percorso diverse linee di ricerca. In primo luogo lo studio di localizzazione cromosomica o di mutazione genica ha privilegiato ampie famiglie informative nelle quali era presente una modalità di trasmissione mendeliana. I risultati maggiormente rilevanti si sono infatti avuti: a) nelle rare forme di epilessia con ereditarietà mendeliana autosomica dominante, come la “epilessia con crisi neonatali benigne familiari”; b) nelle sindromi con eredità mendeliana autosomica recessiva come le “epilessie miocloniche progressive”; c) nelle rare famiglie multigenerazionali autosomico dominanti con casi affetti da forme cliniche di epilessia di più comune osservazione; e infine d) in alcune peculiari forme familiari con tipi di epilessia non inquadrabili sindromi riconosciute dalla attuale classificazione internazionale delle epilessie.
Questa metodologia ha permesso l’individuazione di diverse mutazioni e localizzazioni geniche e la definizione di nuovi geni candidati, ma questo approccio evidenzia dei limiti perché i risultati riguardano solo poche famiglie, senza al momento una chiara correlazione patogenetica con forme di epilessia di più comune osservazione.
Un altro filone di studio è rappresentato dalla ricerca di geni di predisposizione o di suscettibilità attraverso lo studio di “linkage” (il “linkage” è basato sul fatto che i geni vicini fra di loro sullo stesso cromosoma tendono ad essere ereditati assieme). Lo studio di “linkage” viene effettuato sull’intero genoma in gruppi più numerosi di famiglie, anche di non estese dimensioni, caratterizzate da forme cliniche comuni e con parziale variabilità fenotipica (il fenotipo è l’aspetto clinico con cui si presenta la forma). Infine vengono effettuati studi di associazione tra casi affetti da una specifica forma di epilessia e geni candidati che abbiano una specifica plausibilità biologica con la forma allo studio.
L’individuazione di un gene mutato può rappresentare inoltre uno strumento per verificare la presenza di mutazioni anche in casi sporadici o in forme cliniche affini alle famiglie studiate. Questa strategia ha permesso ad esempio di individuare mutazioni del canale del sodio voltaggio-dipendente SCN1A in casi sporadici affetti da “epilessia mioclonica severa dell’infanzia”.
Nel 1988 vi è stata la prima descrizione di una localizzazione cromosomica tra la “epilessia mioclonica giovanile” e il locus HLA nel cromosoma 6; nel 1995 è stato individuato il primo gene mutato in una epilessia umana e cioè il gene che regola il recettore nicotinico dell’acetilcolina nella “epilessia autosomica dominante notturna del lobo frontale”. In questi anni stiamo assistendo a una notevole vivacità della ricerca in questo campo e numerose sono le nuove segnalazioni di localizzazione cromosomica o di individuazione di geni mutati.